Prosegue la rassegna Un Anno d’Arte allo Studio Hazen di Pordenone con la seconda mostra dell’anno, una personale dedicata all’artista Santorossi.
Scopriamo la sua poetica lasciando la parola alla dott.ssa Alessandra Santin, che ha affiancato l’arch. Pier Appoloni nella curatela di questa esposizione.

L’opera di Santorossi
Paul Virilio affronta il tema della crisi partendo dalla constatazione che l’eccesso d’informazione e di velocità tecnologica produce una progressiva perdita della capacità di osservare il mondo. Nella società della comunicazione l’uomo vive in uno stato di allucinazione visiva – come accecato dalla luminosità dell’immagine che la velocità gli restituisce. Incapace di leggere e interpretare la visione, l’uomo guardandosi allo specchio non si riconosce o addirittura non si vede più.
Dopo l’Arte, dopo Dio, anche l’immagine dell’uomo è morta, nella sua assoluta originarietà e unicità. L’identità visiva dell’uomo contemporaneo, che aderisce a modelli idealizzati e imposti dalla dittatura delle immagini, subisce i processi di omologazione che, per l’appunto, uccidono la meravigliosa soggettività dell’uomo.
Il processo di mutazione antropologica che ne segue modifica gli orizzonti umani, si eludono le ideologie e gli ideali, l’uomo vede svanire le proprie certezze e il senso di smarrimento lo porta ad interrogarsi sempre più su se stesso, sulla propria essenza, sulle proprie scelte esistenziali, sulla propria immagine.

L’identità frammentata e svuotata di senso e la realtà complessa e semplificata si colgono nelle opere pittofotografiche di Santorossi, date per sequenze di colori replicati e spaziati da lunghe linee, sottili e bianche. Questi segni, intinti nel bianco, non isolano le parti ma le pongono in relazione stabile permettendo di rivedere, accentuandoli, i limiti e i confini.
Ogni banda di colore non si isola ma si rapporta in modo nuovo, restituendo l’energia corrispondente all’azione di uno sguardo attento, di un sentire profondo, effetto di flash lucidissimi e silenziosi.
Il colore saturo e monocromo come luogo privo di punti di fuga non ospita e non imprigiona l’uomo del terzo millennio. Esso si coniuga con l’estuario di una parola che apre al possibile, si comprime nella diga che marca il territorio per uno sguardo libero e privo di mediazioni. Restano le bellissime bande di colore, promozionali dell’umano senza sembianze e senza rappresentazioni formali.
Oggi l’ardua dicibilità di senso e la consapevolezza della perdita dell’aura azzerano ogni riproduzione della forma. L’uomo di Santorossi è rappresentato solo dal colore e dalla parola: il nome, in particolare, diviene il vero ritratto, ed esprime in sè stesso tutta la verità incomunicabile di ciascuno.

Come certi oggetti deposti, il nome misura le vibrazioni della vita del soggetto e lo annuncia ora per sempre, in un infinito apparente, forse immodificabile. Tale rimane, infatti, finché una voce mentale lo ripete, finché pronunciare quel nome resta l’unica operazione possibile, l’unica certezza nell’universo dipendente dalle interferenze, dalle distanze, dalle onde comunicative vibrazionali.
Lo scandalo visionario entrando nella quotidianità si azzera; dimenticando la vera provocazione di una domanda sempre rinnovata Santorossi costruisce una realtà in cui il contemporaneo, protagonista del suo racconto, perde il valore identitario per diventare il luogo dell’artificio.
In ogni opera di Santorossi convergono l’organico e l’inorganico, la materia e l’immagine, l’uomo e il colore. Da soggetto narrante e narrativo l’uomo si trasforma in colore vibrante, in simbolo del fluire desiderante della vita.
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