Gli scatti di MARIO VIDOR, l’uomo che insegue i “Cieli Inquieti” del Mondo.

Allo Studio Hazen di Pordenone continua la rassegna “Un Anno D’arte” con la mostra dedicata all’artista fotografo Mario Vidor, “CIELI INQUIETI.

Le immagini di Mario Vidor sono composte alla perfezione già dentro il mirino del fotografo perché per lui (come per Ghirri) il paesaggio prima di essere tale è innanzitutto immagine della mente. Ogni sua opera, infatti, non è semplicemente una descrizione o una registrazione del visibile quanto una sua personale percezione del luogo in un determinato momento. Per questo in alcune fotografie avvertiamo come un senso di smarrimento di fronte al sublime silenzio, in altre sentiamo un canto e il movimento, una danza guidata dai venti e dalle correnti marine. In alcuni casi la possente presenza delle cime e delle valli aperte, con i loro colori setosi induce all’infinito e all’eternità; altrove è invece l’istante fuggevole ad essere salvato dal nulla del tempo (un battito d’ali, la luce finale prima del buio…).
Alessandra Santin
Le Opere di MARIO VIDOR a “Un Anno D’Arte“
“Nuvole… esse sono tutto… uniche cose oggi reali fra la nulla Terra e il cielo inesistente…” Dice praticamente tutto quest’estratto del testo di Fernando Pessoa.
Mario Vidor lo condivide nel senso più intimo e profondo esprimendo la vibrante protesta delle nuvole che si fanno protagoniste per ribellarsi al paesaggio statico, immobile e immutabile della fotografia.

Le opere in bianco e nero di Mario Vidor sono sempre vitali: come le nuvole annunciano, infatti, la rinascita della visione di un mondo che è in costante divenire. Ogni foto è assoluta libertà; è nuova definizione dell’impossibile visione di un luogo che non è mai un compiuto e concluso.
Mario Vidor è sempre là con la determinazione di chi vuol presentare una visione rinnovata e luminosa per ribaltare il mondo, per dare voce alle cose che tutti pensano mute. Egli viaggia con le sue nuvole, sempre in direzione ostinata e contraria, per conservare l’esperienza della libertà in forma di splendore, per dare voce alla complessità dell’esistenza in forma di movimento e inquietudine. L’artista sceglie il cielo per rappresentare concettualmente il senso della propria ricerca e della sua personale poetica.

Sono i cieli inquieti quelli che accolgono lo sguardo di Mario Vidor, innamorato delle possibilità infinite degli spazi in cui il tempo è in movimento. E non c’è niente di meglio del silenzio perché lo sguardo dell’artista possa agire nella più assoluta impunità; perché si manifesti quella pace terrificante in attesa dell’arrivo di una nuova tempesta o della calma piatta, tra scogli e montagne imponenti e indifferenti.
È una rivoluzione quella rappresentata e glorificata in ogni opera di Mario Vidor, in cui si ripete un evento mai uguale a se stesso. C’è come un canto di sirene che annuncia il potere della Natura e anche il suo riscatto.

Il tratto filosofico che domina un’epoca di fatto ha sempre inciso in maniera vincolante nella rappresentazione dell’immaginario soggettivo e collettivo: l’indicatore del cielo come elemento scenografico maggiore, ha spesso giocato un ruolo centrale nel delineare gli snodi del pensiero. Le nuvole, infatti, sono sempre state fonte di ispirazione simbolica.
Nella Bibbia sono il trono di Dio e rappresentano la maestà divina. Nel mondo greco, nella commedia di Aristofane le “Nuvole”, rappresentano la filosofia che con la propria astrattezza allontana dalla vita.
Mantegna realizzò le nubi più statuarie, solide e tridimensionali della storia. Gli autori romantici citano spesso le nuvole nelle loro opere, Shelley fa parlare in prima persona una nuvola antropomorfizzandola e immaginandola quale simbolo della trasformazione: “Mi trasformo, ma mai potrò morire”. Tiepolo le utilizza per esprimere la serenità del periodo caratterizzato da una visione della luce come cura, presidio e allontanamento dalle tenebre. Cieli immensi e radiosità li troviamo trasferiti in nuvole sonore, nella musica di Haendel, senza angoli d’ombra, in una vibrazione di pura luce e puro amore verso il celeste più intenso.

L’elenco potrebbe continuare dimenticando sempre qualcosa o qualcuno, impossibile, ad esempio, tacere delle Nuvole di Fabrizio De Andre’ e così via.

Mario Vidor, come chi l’ha preceduto, sa pazientare e svela nei suoi cieli il lato più sincero dell’Arte e della Vita. Sopra i monti innevati, oltre l’orizzonte dei mari lontani, in fondo a strade bianche dei campi coltivati egli mostra la vera essenza della sua ricerca: tutto si traduce in una questione di luce e di nuvole. Probabilmente in ciascuna nube egli intravede la silhouette imperfetta della Vita che si rigenera per incanto, in forme misteriose, leggere o incombenti, sacre e profane, fragili e possenti, perché non esiste mai una sola linea netta e non esiste limite o confine.
Vita e fotografia sono parte di un unico sentire di Mario Vidor che si traduce sempre nella possibilità di cogliere e comunicare spunti, riflessi, presagi di futuro. Ogni scatto di Mario Vidor è una sospensione del respiro che riprende con lo stupore della felicità di essere vivo, anche oggi, come le nuvole, “lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio” nei suoi Cieli Inquieti, proprio per questo vitali nell’infinito indicibile.
Alessandra Santin
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